Cronachelli: AAA - Anonima Aspiranti Autori di Anonima D.


di Anonima D.

Molte persone nella loro vita coltivano passioni e hobby che le aiutano ad affrontare lo stress della vita quotidiana. A volte però queste passioni raggiungono un livello patologico talmente importante che rischia di compromettere relazioni sociali e vita lavorativa.
Questo comporta un necessario ed immediato aiuto da parte delle istituzioni affinché nessuno si senta solo. Ed è qui che entra in GIOCO l’Anonima Aspiranti Autori, un’associazione no profit che aiuta gli aspiranti autori di giochi ad affrontare le difficoltà di questo ludico mondo, indirizzandoli verso un game design serio e costruttivo, ma che permetta loro, soprattutto, di creare giochi da tavolo degni di essere chiamati così.
Sì, avete ragione, sembra una campagna di reclutamento militare statunitense, ma non lo è.

Diciamo che è la descrizione semi-seria di quello che realmente è il mondo degli autori di giochi e soprattutto degli aspiranti, ossia coloro che inventano giochi, ma non hanno ancora avuto la possibilità di vederne uno dei loro sugli scaffali dei negozi.
Sono fermamente convinta che ognuno di noi (autori e aspiranti) abbia iniziato il proprio percorso in modo differente. Sto lentamente conoscendo sempre più persone e personalità autoriali che, in un modo o nell’altro, mi raccontano i loro inizi e le difficoltà che hanno affrontato e che affrontano ogni giorno creando i loro giochi.
C’è chi comincia per passione, chi per riflesso, chi per colpo di fulmine.
Io ho iniziato per indole.


Non per quella ludica, ma per quella strana e compulsiva di dover stare sempre dietro le quinte e non apparire mai sul palco. Per intenderci, sono quella che le foto le scatta e non se le fa fare, oppure quella che fa le torte (buone) e dice che le ha comprate in pasticceria.
Quest’indole è quella che mi ha portato a diventare un'aspirante autrice di giochi dopo che una tempestosa sera di Marzo del 2017 mi sono ritrovata seduta con le scarpe zuppe a giocare da tavolo.
Gioca di qua, gioca di là, gioca di su e gioca di giù le serate passavano, ma non mi sentivo completa. Avevo bisogno di integrare quella maledetta voglia di giocare. Dovevo capire perché quel gioco, o quell’altro ancora, mi tenevano incollata alla sedia.
Finché non arrivarono le prime voci, letteralmente, di corridoio. Sentii chiaramente la frase: “Allora? Come sta andando il tuo gioco? Hai cambiato qualcosa dall’ultima volta?”

Panico “I giochi si inventano?”


La rivelazione era pressoché banale, è ovvio che i giochi non crescono sugli alberi, ma fino a quando qualcuno non te lo dice non realizzi.
Ho fatto la figura dell’adolescente sfigatella che non ha mai avuto un ragazzo e che quando crede di innamorarsene di uno, lo tampina di domande per conoscerlo meglio e tutto il resto. Così feci per il game design.
Cos’è? Come si fa? Ci sono libri da leggere? Come si inizia? Come…?  Ecc…
Parto in quarta come il mio solito. Da quella sera inizio a cercare giochi tutti diversi per giocarli e apprendere le diverse meccaniche e le sensazioni che mi avrebbero trasmesso.
Ashes: La rinascita dei Phoenixborn, Citadels, Mascarade, Ticket to ride, Matrimonio Reale, T.I.M.E. Stories, Arcadia Quest, Cyclades, Noxford, Russian railroads, Tsuro, Tokaido, Arkham Horror, Blood Rage...

Panico parte seconda.


Regolamenti, setup, gameplay, eccezioni, condizioni di vittoria. Iniziavo ad arricchire il mio vocabolario tecnico.

Poi d’un tratto apro una porta.

Dietro c’era una vastità di tavoli e prototipi tale da farmi chiedere chi caxxo me l’avesse fatto fare. Da quel momento inizio a comprendere che forse, anche se umido, caldo e brulicante di nerd, quel posto sarebbe stato l’inizio di tutto e la mia tappa fissa per le vacanze. Come il solito vecchio stabilimento balneare che ti ritrovi a frequentare ogni anno per il resto dei tuoi giorni.


Non senza difficoltà inizio ad addentrarmi in quello che sarebbe stato, e continuerà ad essere, un labirinto pieno di insidie spalmato su un fianco di una grossa montagna.

Il più grande ostacolo, per me, che ancora oggi faccio fatica a superare, è la prima impressione che ti danno i prototipi. Ti fissi irrimediabilmente sulla finitura grafica e dei materiali senza goderti il gioco per quello che realmente è.

Tabelloni  costruiti con 8 fogli formato A4 attaccati con il nastro adesivo, disegnati a matita e colorati con i pennarelli. Carte da gioco anche loro disegnate a matita, dimensione 40x75mm inserite nelle bustine 60x120mm. Cubetti, cubetti a profusione con colore e dimensioni identiche tra loro ma che hanno valori diversi.

Panico parte terza.


Eppure la magia dello stare dietro le quinte è proprio questa. Vedere il proprio prodotto, finito e rifinito, nato proprio da quei fogli mal disegnati e da quelle carte sottodimensionate.


Ok, ci provo. Ho già una piccola idea. Preparo il prototipo. Faccio qualche partita a casa in solitario. Tempo di gioco stimato tra i 20 e 30 minuti.

Decido di farlo provare ad altri autori. Ansia, paura, sudorazione delle unghie, dolore alle doppie punte, allappamento delle fauci. Spiegazione arrancata. Inizia il playtest…

Commenti

Post più popolari